15 luglio 2020

THE DREAMED PATH




L'impossibilità del raccontare il male di vivere è la chiave di lettura del cinema di Angela Schanelec:ogni scena è chirurgica,meccanica , ogni emozione è soffocata come ''You and me'' ,la canzone che si interrompe di colpo al suo apice, in uno dei rarissimi momenti di contatto umano.
E' un non-dialogo che si interrompe di continuo, come a voler cercare le parole giuste ma non trovandole deve ricominciare ogni volta da capo fino a rinunciare completamente.

Sono le conversazioni che non abbiamo, il non detto, a perseguitarci e riecheggiare in loop nei luoghi e nella memoria del tempo...che il tutto avvenga ora o fra trent'anni ( dico trenta perchè così recita la sinossi su IMDB ma da ciò che si vede e dall'età dei personaggi è più probabile che ci sia stato un errore di traduzione e che siano passati solo 13-15 anni tra la prima e la seconda parte del film) è ininfluente perchè c'è un filo invisibile che collega le solitudini di queste anime incapaci di combaciare.

In ''the dreamed path'' veniamo catapultati in una serie di situazioni che sono giù iniziate e che non abbiamo punti di riferimento per comprendere ( basti pensare che perfino i nomi dei due protagonisti iniziali Theres e Kenneth vengono pronunciati soltanto una volta ,per giunta in situazioni casuali e fugaci ) ,diventiamo spettatori di vite che non ci appartengono e pertanto ci è impossibile far nostro il loro dramma.

La mancanza di empatia coi protagonisti e la difficoltà cronica dello spettatore nel provare emozioni forti durante la visione dei suoi film è la critica che viene fatta più frequentemente dai detrattori del cinema della Shanelec eppure paradossalmente è proprio la sua asetticità radicale ed esasperata il suo punto di forza . La solitudine è una condizione talmente intima che non può essere spiegata ed è proprio in questa impossibilità narrativa, in questa inefficacia della parola che  lo spettatore si estranea da quello che osserva e che il concetto stesso di solitudine riesce ad esistere proprio perchè accentuato dal nostro distacco emotivo che crea un ulteriore isolamento, un'incomunicabilità.

Diventiamo noi stessi i protagonisti della recita che è la nostra vita, ma recitare non ci rende meno soli (''Penso che ci siano un sacco di attori solitari.e non credo si sentano meno soli dopo un giorno di riprese'' dice una ragazza a fine pellicola ) e tutta l'emotività che è soppressa durante la visione del film si insinua come un tarlo dentro di noi e ci mangia dentro nei giorni successivi.

''Il percorso sognato'' del titolo che suona così metafisico è in realtà una beffa terribilmente concreta, quel futuro ideale che tutti sognano in realtà è un collegamento universale di vicoli ciechi.

Ora che suo figlio è adulto, Theres probabilmente passerà il resto dei suoi giorni da sola.

Kenneth non farà nessuna scuola di musica, l'ultimo suono che sentirà sarà quello del treno che maciulla il suo corpo mentre il suo cane aspetterà invano il suo ritorno sotto la pioggia.

Forse la coppia in crisi tornerà assieme o forse lei continuerà a recitare per fingere di poter aver una conversazione altrimenti impossibile e lui si eclisserà nel buio di quella stanza in affitto, con quella tapparella che divora la luce nel suo meccanico sferragliare mentre la figlia continua ad allenarsi a calcio...forse diventerà una star, forse fallirà come i suoi genitori.

Non lo sapremo mai, non ci è dato saperlo. Tutto si interrompe di colpo così come era cominciato, nel mezzo di una situazione che ci resterà per sempre estranea.

Le parole sono superflue o comunque inefficaci, l'attesa della fine è l'unico linguaggio universale.