25 maggio 2016

ENTERTAINMENT




Il classe '71 Rick Alverson nonostante i soli 4 lungometraggi all'attivo è una sorta di guru del cinema indie statunitense e dopo aver visto i suoi ultimi 2 lavori è diventato uno dei miei idoli indiscussi.

''Entertainment'' ovvero, ''il divertimento'' o ''l'intrattenimento'' è un film tanto geniale quanto spiazzante : il panorama cinematografico è pieno zeppo di film che mescolano sapientemente dramma e commedia nera ma così a memoria non mi viene in mente nessuno che sia riuscito a farlo racchiudendo il tutto in una cornice esteticamente ammaliante (a tratti psichedelica) e soprattutto giocando di sottrazione come è riuscito a fare Alverson con questo gioiello.

Ma andiamo con ordine.

Nello sconfinato deserto californiano un manipolo di persone sta visitando un cimitero di aeroplani.
Tra questi individui notiamo subito Neil, un personaggio inquietante ma al contempo buffo,con lo sguardo assente, perso nel vuoto a contemplare quei rottami metallici, simbolo di un qualcosa che un tempo era grande ma ora sono solo corpi immobili in mezzo al niente.

Neil ,( uno straordinario Gregg Turkington ) è quint'essenza del male di vivere, genio incompreso, alieno in una società sempre più disumanizzata e isterica.
E' un comico che non è mai riuscito a emergere , il suo umorismo al vetriolo raccoglie più fischi che applausi  le sue esibizioni si concludono spesso con insulti e risse con il pubblico ma nonostante questo lui continua imperterrito per la sua strada : sa bene che la vita è uno schifo per tutti e proprio in quanto portatore in prima persona di un dolore insostenibile attribuisce alla sua comicità un ruolo quasi salvifico per chi la ascolta, è convito di poter allietare seppur per qualche ora le sofferenze delle persone che sono arrivate fin lì per assistere al suo show.
Perfino quando suo cugino John ( un eccentrico J.C.Reilly in un favoloso cammeo) gli consiglia di adottare un umorismo meno tagliente e più alla portata di tutti lui lo ignora : il suo umorismo è tutto quello che gli è rimasto e che lo differenzia da una società nella quale non si ritrova, è una sorta di muro che lo protegge da una realtà troppo brutta e difficile da accettare , realtà nella quale probabilmente sua figlia è morta ma lui continua a telefonarle imperterrito quasi come a voler cercare un ultimo barlume di calore nel baratro che ormai è diventata la sua esistenza.

La comicità ,o presunta tale, del personaggio diventa quindi un mezzo di sopravvivenza e non un qualcosa tramite cui raggiungere il successo e la notorietà, due mete che probabilmente ormai non gli interessano neppure e dalle quali è stato escluso come evidenzia una delle sequenze finali nella quale davanti ad un pubblico d'elite che potrebbe fargli fare il salto di qualità , ha un crollo emotivo e sviene : è il culmine della progressiva disgregazione della sua realtà, crollo che Alverson ci aveva iniziato a mostrare con sapienza in una sequenza dai continui cambi cromatici e che proseguiva con incontri sempre più inquietanti e surreali ( devastanti la scene del parto nel bagno e soprattutto l'incontro con Micheal Cera, scena nella quale sembra debba emergere con violenza da un momento all'altro tutta la rabbia inesplosa di Neil ).

Si arriva a fine pellicola che la personalità di Neil è talmente dissociata che noi assieme a lui non distinguiamo più la realtà dalla finzione, lo vediamo guardare se stesso dentro ad una TV che trasmette una sit com messicana : forse l'intrattenimento del titolo è la vita stessa, una farsa della quale possiamo solo ridere per coprirne i singhiozzi.





22 maggio 2016

ANOTHER SKY




Scrivere di Another Sky ( Drugoe Nebo - Russia 2010) è sicuramente complicato.
Perlomeno non se ne può parlare in modo convenzionale, partendo ad esempio dalla trama e raccontando quello che man mano accade perchè a conti fatti succede pochissimo e comunque non è certo l'aspetto narrativo ciò che rende l'esordio di Mamulia un film meraviglioso da recuperare a tutti i costi.

In another sky non ci sono punti di riferimento: anche se gran parte del film è con ogni probabilità girata a Mosca, il nome della città non viene mai menzionato.
Anche i personaggi che incontreremo non hanno un nome, gli unici due ad averlo sono il protagonista Ali e sua moglie Laili, due scelte che mostrano il clima di solitudine e spersonalizzazione che permea la pellicola per tutta la sua durata.
Non sappiamo nemmeno che lavoro faccia Ali nè tantomeno da quale luogo provenga;lo vediamo ad inizio film assieme al suo figlioletto circondati da un gregge di pecore mentre caricano sul camion carcasse di pecore morte nel bel mezzo del deserto percui si potrebbe dire che sia un pastore ma non abbiamo elementi che ce lo possano confermare, così come non sapremo mai perchè sua moglie lo abbia abbandonato molti anni prima.
Mamulia non racconta niente allo spettatore, passato e futuro dei personaggi non sono rilevanti, esiste solo un presente eterno che persiste in un lungo agonizzante viaggio per inerzia : la vita.


'' Si parte per cercare una cosa e si finisce col trovarne un'altra che non si stava cercando'' dice Mamulia in un intervista , ed è proprio con una ricerca che si apre il film : Ali di punto in bianco decide di abbandonare il deserto per recarsi in città assieme al figlioletto a cercare la donna che li ha abbandonati molti anni prima ,senza un lavoro, senza conoscere il russo, senza meta, senza indizi...l'unico piccolo barlume di speranza è racchiuso in una piccola foto sgualcita in bianco e nero di quando la moglie era giovane, l'ultima cosa che di lei gli è rimasta . Il tempo, la solitudine e l'abitudine forse hanno cancellato in lui pure il ricordo del suo viso ma ora è tempo di cercarla, se non altro per porsi un obbiettivo, per trovare una ragione che possa dare un senso alla sua esistenza funerea.
Il termine ''funereo'' non è usato a caso : in Another Aky la morte gioca un ruolo fondamentale tanto da poterla definire tranquillamente la vera protagonista del film che, assieme alla città meccanica e disumanizzante formano un binomio micidiale che sotterra letteralmente lo spettatore.

La morte in questo film è ovunque .

E' negli occhi vitrei delle pecore che muoiono agonizzanti nel deserto sbattendo rassegnate le palpebre un ultima volta, nei loro corpi gettati senza alcun rispetto nel dirupo o sulla lamiera di un furgone.

E' nello sguardo dei pazienti dell'ospedale lasciati soli al proprio destino.

E' nei bambini ritardati che dicono cose senza senso in un corridoio della stazione.

E' nell'alienante meccanica routine dei lavoratori in fabbrica.

E' nel cane investito da Ali e lasciato morire per la strada.

E' nel figlio di Ali che muore in un incidente nella segheria.

E' negli occhi di Ali che osserva il corpo senza vita di suo figlio, corpo senza nome che giace inerme su un lettino d'ospedale assieme ad altri corpi senza nome.

E' nelle enormi macchine taglialegna che sradicano, sezionano, distruggono la foresta in un inferno di stridii e rumori meccanici che si ripetono all'infinito.

E' alla televisione ( praticamente gli unici dialoghi che udiamo nel film) che parla di rivolte in Francia, di attacchi dei pirati Somali e di un influenza mortale che sta colpendo alcune zone dell'Europa facendoci chiedere se è il mondo ad essere una proiezione dell'animo di Ali oppure il contrario.

Ma la cosa più raggelante è il ruolo che occupa la morte in tutto questo contesto : non è mai spettacolarizzata ed è accettata con una naturalezza ed una rassegnazione che rasentano l'inumano.
Le suddette pecore non emettono alcun lamento mentre stanno morendo sembra anzi di scorgere un aurea di sollievo nei loro occhi. La morte del figlio di Ali non ci viene mostrata, lo scopriamo tramite una fugace telefonata dinanzi alla quale lo stesso Ali non batte ciglio, come se tutto fosse talmente normale che sarebbe superfluo metterla in mostra.
Perfino quando osserva il cadavere del figlio nella sala mortuaria e ne ritira gli effetti personali il tutto avviene come una normale transazione, i corpi diventano semplicemente ''merce'', un ingombro di spazio.
C'è un tacito assenso a tutto quello che accade, come una gelida consapevolezza che la morte è ineluttabile e inscindibile dalla vita , non fa nemmeno notizia quando si verifica.



Come avrete capito gli sguardi e i volti giocano un ruolo chiave nel film di Mamulia al punto che Mitra Zakhedi ( l'attrice ,credo unica professionista nel film, che interpreta la moglie di Ali) è stata scelta proprio per le emozioni che trasmette il suo sguardo laconico, nonostante appaia soltanto per pochissimi minuti a fine film.
Lo stesso Habib Boufares (Ali) è stato scelto da Mamulia per quella malinconia che trasmette e per quello sguardo rassegnato e al contempo impenetrabile che a tratti diventa quasi frustrante anche per lo spettatore che fatica a comprendere la natura della sua apatia , ma è una scelta che paga perchè in Another Sky il visivo sovrasta la narrazione verbale al punto di sostituirsi ad essa e Ali diventa una sorta di mezzo cinematografico attraverso il quale prendiamo parte a un viaggio che è eterno in quanto non ha possibilità di arrivo .

Ali alla fine trova sì sua moglie ma dopo tutto quello a cui abbiamo assistito fino ad ora diventa un dettaglio quasi insignificante,come se fosse semplicemente una meta autoimposta per darsi uno scopo in una vita che non ne ha uno.

 La vede, si sciaqua la faccia davanti ad uno specchio che sfoca la sua immagine...avrà pure trovato la moglie ma ha perso una parte di se stesso.

Dopo mille sconfitte,perdite e umiliazioni le ultime parole che si odono nel film sono i canti stonati di alcuni fedeli che invocano perdono ad un Dio che non li ascolterà mai .

Ali e sua moglie salgono in macchina nel più totale silenzio e si mettono in viaggio verso un qualcosa che non ci è dato sapere , finisce così, tutto sospeso in una condizione di stasi perenne, un cielo grigio che sovrasta ogni cosa.


20 maggio 2016

SOMEONE ELSE'S HAPPINESS




A Neville, piccolo paesino belga, la vita degli abitanti viene sconvolta dalla tragica morte di un ragazzino di 8 anni investito da un ignoto pirata della strada.
La tragedia coinvolge in particolare 3 famiglie del posto...

L'esordio di Fien Troch  è di quelli col botto e oltre a mettere in luce gli stilemi che saranno tipici dei suoi lavori successivi , dimostra anche una maturità stilistica paradossalmente superiore al successivo KID.

Il plot non è certo niente di innovativo o di originale ma è il modo con cui la Troch decide di metterlo in scena che è decisamente degno di nota : riesce infatti ad amalgamare alla perfezione l'aspetto thriller della vicenda (con relativa suspense e colpi di scena) con quello puramente emotivo e malinconico, descrivendo benissimo i vari personaggi, i loro stati d'animo e il dramma dipinto sulle loro facce.
Ne esce un'affresco desolante e deprimente che annichilisce lo spettatore lasciandolo in una situazione sospesa fino alle ultimissime battute che comunque non risolveranno completamente l'enigma...

ATTENZIONE, POSSIBILI SPOILER!

Sin dalle primissime sequenze lo spettatore è immerso in un ambiente cupo e deprimente, si percepisce che sta per accadere qualcosa di funesto in un contesto già disperato di suo e popolato da personaggi malinconici e apatici :

Chris (una delle protagoniste) è una donna borghese sulla 40ina con 2 figli (uno dei 2 una faccia da schiaffi che la metà basta), si è da poco separata dal marito (il quale continua a tempestarla di telefonate nelle quali minaccia il suicidio) e lavora in un negozio di ottica.
Una sera ,dopo l'ennesima lite telefonica col marito decide di mettersi al volante e farsi un giretto sotto la pioggia per allentare la tensione ma succede l'incredibile...forse ha urtato qualcosa, si ferma e vede un corpo galleggiare nel fiume, è quello di un bambino.
Spaventata chiama la polizia ma quando gli sbirri arrivano sul posto non c'è nessun morto che galleggia, la corrente lo ha portato via oppure si è immaginata tutto?
Chris torna a casa evidentemente scossa e il giorno dopo dal notiziario in TV apprende che un ragazzino è stato ucciso da un ignoto pirata della strada ed è stato gettato nel fiume dove è stato ripescato dalla polizia.
I sensi di colpa cominciano ad attanagliare la sua psiche già di per se devastata dalla sua situazione coniugale e le cose peggiorano esponenzialmente quando si accorge che il bambino morto era il figlio della sua domestica, a sua volta moglie del poliziotto che lei ha chiamato la sera dell'incidente.
Quella sera stessa partecipa ad una cena in famiglia con la figlioletta e i suoi genitori ed è stupita dalla reazione quasi indifferente della madre quando le confessa che forse potrebbe essere stata lei a investire quel ragazzino.
Se la vita di Chris è rovinata per sempre i suoi vicini di casa non sembrano passarsela meglio : la moglie di Francis ( il vicino di casa) è disperata perché suo marito da qualche tempo si comporta in modo strano e sembra non essere più lo stesso. Un'insolita apatia lo avvolge e misteriose ammaccature al cofano della macchina lasciano intendere che il pirata della strada misterioso potrebbe davvero essere lui.
Francis porta l'auto dal meccanico ,il quale però è amico di Mark (il poliziotto) e contatta subito lo sbirro informandolo di aver trovato il probabile colpevole della morte di suo figlio.

Nello spettatore cominciano a insinuarsi dei dubbi, non si hanno più certezze e non si capisce chi possa aver fatto cosa, e anche i poliziotti addetti alle indagini sembrano brancolare nel buio.

Un investigatore interrogando gli abitanti del quartiere scopre da un certo Johnny the Flow (un ex pugile rincoglionito) che nella casa abbandonata dall'altro lato della strada vive uno squilibrato di nome Njord, un ragazzo ritardato che ha abbandonato da tempo la sua famiglia e che ora vive in solitudine ai margini della società, e come in ogni paesello dalla mentalità ristretta il primo sospettato diventa lui.

Ma nel frattempo Mark ha già deciso di farsi giustizia da solo e una notte aiutato da un collega fa irruzione a volto coperto nell'abitazione di Francis e lo pesta brutalmente dopo avergli ucciso il cane.

Chris apprende la notizia il giorno dopo dal telegiornale e sente crescere sempre di più i suoi sensi di colpa, ancor di più quando da li a poco la polizia (che ormai brancola nel buio più totale)
arresta il povero Njord il quale si è dichiarato colpevole solo per attirare un po' di attenzione nonostante lui non abbia mai guidato un auto in vita sua e non ne possieda neanche una.

Arrestato il presunto colpevole veniamo a scoprire che il povero Francis ( che per lo spettatore era l'indiziato numero uno anche a causa di una serie di particolari che non ho menzionato nella recensione) si comportava in modo strano e distaccato perché malato terminale di tumore e prossimo alla morte, la moglie di Mark lascia il marito reo di aver pestato a sangue un innocente e abbandona la città assieme alla figlioletta .

Ora che c'è un capro espiatorio la città sembra pronta a lasciarsi tutto alle spalle ma proprio durante la parata (per la festa patronale?) Chris ,ancora devastata dai sensi di colpa, nota un particolare agghiacciante: suo padre (che ha problemi di udito ai limiti della sordità) nell'uscire dal parcheggio col suo fuoristrada colpisce e trascina per svariati metri una cassetta delle lettere senza rendersene manco conto...
Con ogni probabilità il pirata della strada era proprio lui ma non lo sapremo mai, possiamo solo restare attoniti a contemplare la miseria umana sulle splendide note di ''Truly golden''...

KID



Fien Troch è una regista da tenere assolutamente sott'occhio.

Il tema dell'infanzia difficile è un argomento abusato fin dai tempi dei 400 colpi di Truffaut, ma l'approccio usato dalla regista belga è talmente insolito che rende il tutto a modo suo originale e a fine visione vi assicuro che il segno ve lo lascerà eccome.


 Kid è un ragazzino di 7 anni che vive in una fattoria assieme al fratello Billy, poco più grande di lui ,e alla madre .
Sin dalle prime battute si intuisce che il padre li ha abbandonati da tempo lasciandoli indebitati fino al collo.

Tirare avanti una fattoria e allevare due figli senza un marito e il becco di un quattrino è un'impresa ardua: la madre ha un crollo psicologico devastante che la porta a vivere un' esistenza ai limiti dello stato vegetativo, vaga per i corridoi e per le strade come fosse uno zombie e mostra un distacco glaciale verso qualsiasi altra forma di vita, figli compresi.
La reazione dei due ragazzini di fronte all'assenza di una figura materna è diametralmente opposta: Billy nonostante la giovane età sembra rendersi pienamente conto della situazione ma cerca in tutti i modi di farsi forza, è ubbidiente e cerca in tutti i modi di ostentare calma e allegria.
Forse sono proprio le sequenze che vedono Billy protagonista i momenti in cui emerge maggiormente lo stile amaro e grottesco della Troch, momenti che nonostante il clima asettico e totalmente distaccato della pellicola non stonano affatto ma anzi creano un effetto totalmente straniante e malinconico (basti pensare alla scena in cui il nonno scoreggia dopo avergli detto ''tirami il dito'', una scena totalmente grottesca nella quale il sorrisino appena abbozzato di Billy nel silenzio asettico generale, racconta più di mille parole quella che è la tragedia interiore dei suoi commensali).

Kid dal canto suo non sembra rendersi perfettamente conto di quello che sta succedendo: passa giornate intere lontano da casa a commettere marachelle e piccoli furti con l'altrettanto disadattato compagno di scuola Misty ma come vedremo più avanti nel film, la sua è solo una maschera, si è creato un piccolo mondo alternativo per non accettare l'assenza affettiva della madre nella sua vita, madre alla quale lui è molto legato nonostante lei non sia esattamente il prototipo della madre modello.

È proprio attorno a questi tre personaggi che Fien Troch costruisce una storia fortemente minimale e glaciale che non possiede una struttura narrativa convenzionale ma che è incentrata sul creare un piccolo mosaico di deprimente quotidianità dal quale è impossibile sottrarsi.
Ne scaturisce un film anti-spettacolare al massimo nel quale anche i momenti per così dire ''comici'' sono venati da una profondissima malinconia di fondo (basti pensare alla favolosa sequenza in cui Misty insulta il cassiere del minimarket o all'incessante flusso di battute squallide di Billy in macchina col padre) 
mentre quelli più duri da digerire sono mostrati con naturalezza e in totale assenza di spettacolarità (vedi la morte della madre).

SPOILER

Malgrado gli elogi spesi fin ora tuttavia la Troach ''rovina'' tutto sul più bello allungando il finale con 3 minuti di troppo...se fosse finito prima con quella meravigliosa sequenza del suicidio di Kid allora probabilmente saremmo qui a parlare di un mezzo capolavoro, invece il tentativo forzato di un finale poetico a mio avviso banalizza il tutto e stona completamente con lo stile glaciale al quale avevamo assistito per 90 meravigliosi minuti.

Nonostante questo scivolone,Kid è assolutamente un film da recuperare se non altro per la mostruosa interpretazione di Bent Simons che praticamente da solo riesce a conferire alla vicenda un livello di tristezza che non vi abbandonerà facilmente neanche a fine visione.


CARCASSES



Dopo aver visto il bellissimo BESTIAIRE ho sentito il bisogno di recuperare altri lavori di Côté e la scelta è caduta su questo misconosciuto Carcasses.

Direi che ho fatto centro.

Carcasses è un film meraviglioso: gioca sapientemente di sottrazione al punto che fino a metà film siamo praticamente sicuri di assistere a un normalissimo documentario.
Per 35 minuti abbondanti il signor Colmor ci racconta la sua settimana tipo, un loop meccanico di giri tra mercatini delle pulci e aste intervallati da sporadiche visite ai genitori o da brevi soste in alcuni locali per sentire un po' di musica.
La sua vita è tutta qui, in queste semplici azioni che si ripetono e che gli hanno conferito la nomea di pazzo, titolo nel quale non si dispiace neanche poi tanto dato che ritiene di avere tutto quello che gli serve per essere felice.
La sua è una vera e propria mania per il collezionismo, che si tratti di pezzi di ricambio per camion o di modellini di macchinine da ovetto kinder, poco importa: la sua casa è tappezzata da una miriade di cianfrusaglie da far impallidire''Il banco dei pugni'' e la cosa più incredibile è che non lo fa per venderli e guadagnarsi da vivere ma proprio per passione.

Di tanto in tanto riceve delle visite da alcuni turisti che sono affascinati dallo stile di vita del personaggio o da persone che semplicemente vogliono acquistare pezzi di ricambio a buon mercato, ma il contatto umano si limita sempre a una mera transazione economica, finché un giorno vengono a far visita alla rimessa quattro ragazzi affetti dalla Sindrome di Down (tre maschi e una ragazza).


Ed è qui che il film prende una svolta decisamente inaspettata.

Pur mantenendo uno stile documentaristico alla Lisandro Alonso (lunghi piano sequenza a camera fissa), il film diventa clamorosamente drammatico e fortemente introspettivo.

I dialoghi vengono totalmente azzerati per lasciar spazio a immagini di sublime bellezza, Colmar passa da protagonista a osservatore e noi con lui assistiamo alle tenere piccole effusioni fra i due fidanzatini disabili e delle amorevoli cure che si prendono nei confronti di uno dei loro amici gravemente ferito.


L'autorimessa diventa così un simbolico punto di incontro fra due solitudini, tra due realtà totalmente diverse che però hanno in comune una bontà d'animo e una semplicità che li eleva al di sopra della loro emarginazione sociale.


A tal proposito è MEMORABILE la scena della sepoltura del ragazzo, una delle sequenze più delicate e toccanti mai viste, una potente riflessione sul tempo, sulla morte e sulla triste realtà della caducità del corpo umano ...sepolto l'amico i 3 ragazzi rimasti se ne vanno via lasciando Colmar nuovamente solo, in mezzo ai suoi rottami, testimoni immortali dello scorrere del tempo e delle miserie umane.




PAL ADRIENN




Mettetevi comodi, fate un lungo e respiro e preparatevi a leggere quanto sto per scrivere perché Pal Adrienn non solo la reputo la mia miglior traduzione (sub ita su Asianworld) ma è anche uno di quei film che mi sono rimasti talmente tanto nel cuore che è un dovere morale divulgarlo e analizzarlo in ogni singola sfaccettatura in modo da farvi capire che regista incredibile è la mia pupilla Agnes Kocsis.

Agnes pur essendo relativamente giovane e con alle spalle solo due lungometraggi, è riuscita già a delineare un suo personalissimo stile che rende i suoi film riconoscibili immediatamente.
Il suo è un cinema che parla di solitudine, di alienazione, di persone che non sanno stare nella società o comunque fanno molta fatica a essere accettate da essa ma a differenza di altri registi che hanno affrontato anche meglio queste tematiche (penso ad Antonioni, Tsai Ming-liang, Bartas per citarne alcuni) i personaggi della Kocsis non sono elementi borderline ma persone normalissime che conducono un esistenza quasi del tutto simile alla nostra, persone con un lavoro, una famiglia, del tempo libero ma perennemente insoddisfatte e infelici, e proprio per questo risulta facile immedesimarsi nelle loro storie.
Un altra peculiarità del suo cinema è la sottilissima ironia nera che avvolge le storie dei suoi personaggi, un ironia che però anziché stemperare i toni della vicenda rende tutto più amaro e beffardo come ampiamente sottolineato nel finale del suo meraviglioso esordio Friss Levego o in modo ancora più corrosivo in questo Pal Adrienn.


Ma andiamo con ordine.


La nostra protagonista (e che protagonista, una monumentale Eva Gabor) è Piroska Fedor, un infermiera trentenne che lavora nel reparto malati terminali di un ospedale,il St,Andrew Hospital.
Le sue giornate trascorrono nella più totale e meccanica apatia a controllare i rumorosi monitor degli elettrocardiogrammi, pronta a ricevere chiamate di rianimazione urgenti.
Tra cambi di pannoloni, merda, vomito, decessi improvvisi e tentativi di rianimazione che falliscono
 sempre.
Il grigiore e l'abbruttimento della sua vita sono rimarcati anche dal rapporto con il marito* (un uomo attempato e bruttarello che è quasi sempre in giro per lavoro col quale non ha praticamente nessun tipo di rapporto se non qualche breve conversazione al telefono in orari prestabiliti) e da quello coi colleghi e i parenti dei pazienti.
Piroska sembra completamente apatica e priva di tatto davanti a qualsiasi situazione: ogni volta che c'è un decesso è lei l'incaricata per fare la telefonata ai parenti della vittima ma anziché cercare di consolarli o addolcir loro la pillola li liquida con un meccanico e laconico ''tuo padre è morto oggi alle 8:45, contatta la sala autopsie per maggiori dettagli, ciao''.
Le cose non vanno meglio manco quando deve relazionarsi di persona coi parenti delle vittime e a tal proposito è a dir poco esplicativa una delle scene iniziali in cui una coppia cerca il suocero che non è più nella solita stanza e lei in tutta fretta li liquida dicendo una frase tipo ''ah, sì. È morto stamattina, l'abbiamo portato di sotto''.
Anche il rapporto con le colleghe non è dei più edificanti : sospettano tutte che Piroska provochi volontariamente eutanasie clandestine e spesso la emarginano o le parlano alle spalle.
Ma Piroska sembra vivere in un mondo tutto suo, è talmente alienata dallo schifo che è costretta a vedere tutti i giorni che ormai sembra essersi abituata a tutto, il suo viso è una maschera dalla quale non trapela mai neanche un barlume di emozione, è sempre fredda e totalmente distaccata da tutto quello che le succede intorno, è l'emblema della solitudine e della rassegnazione nei confronti della vita.
Poi un giorno però avviene qualcosa: nel suo reparto giunge una vecchietta con un nome familiare, Pal Adrienn, proprio come la sua migliore amica di infanzia , una bambina con la quale aveva un rapporto unico e irripetibile ma che per qualche ragione che lei stessa fatica a ricordare non sente e non vede da oltre 20 anni.
Qualcosa sembra essersi smosso nell'animo di Piroska , finalmente in mezzo a tutto quel grigiore riaffiora il ricordo dell'unico periodo felice e spensierato della sua vita, il ricordo di quella bambina tanto dolce e amichevole che lei reputa l'unica amica vera che abbia mai avuto.


ATTENZIONE, DA ORA IN AVANTI CI SARANNO SPOILER.

Presa dalla nostalgia Piroska si mette sulle tracce dell'amica dedicandosi anima e corpo e trascurando totalmente tutto il resto.
Comincia a contattare in successione una bidella storica della loro ex scuola, un ex insegnante,vecchi compagni di classe ma nessuno di loro riesce ad aiutarla nella ricerca, anzi molti di loro non ricordano nemmeno l'esistenza di questa fantomatica Adrienn.
Come se non bastasse chi si ricorda di lei la descrive come una ragazza problematica e cattiva, un immagine che è totalmente in contrasto coi ricordi di Piroska.
Il mistero si infittisce, Piroska è sempre più presa nella sua disperata ricerca che non va più neanche a lavorare rischiando così il licenziamento.
La prolungata assenza da casa inoltre, porta il marito a supporre che lei abbia un amante e la lascia di punto in bianco con un messaggio in segreteria telefonica in cui le confessa di non averla mai amata e anzi di aver fatto lo sforzo di sopportarla per tutti quegli anni senza cadere in tentazione di tradirla con una sua amica.
Sempre più sola, Piroska riesce ad ottenere un preziosa informazione da un ex compagno delle elementari, il quale aveva provato anche lui a contattare Adrienn per una rimpatriata di classe : pare che la ragazza si sia trasferita a Feketekút, un piccolo villaggio ungherese sperduto nella campagna.
Raggiunto il villaggio, Piroska si reca alla scuola del paese cercando di mettersi in contatto con la probabile ex insegnante di Adrienn ma scopre da Endre, figlio di quest'ultima, che la madre è stata ricoverata d'urgenza in ospedale a seguito di un emorragia celebrale.
Non serve un genio per intuire quanto la sorte è stata beffarda per l'ennesima volta con Piroska: l'ospedale in questione è proprio il St. Andrew Hospital.
Non resta che tornare indietro e provare a parlare con l'anziana signora la quale però è in coma e non può rispondere a nessuna domanda della giovane infermiera.
Piroska si reca più volte a far visita alla vecchietta e ogni volta le parla nella speranza che possa risvegliarsi ma è proprio durante una di queste visite che esausta si addormenta ai piedi del letto della moribonda la quale in un risveglio improvviso pronuncia qualcosa che nessuno riesce a sentire e poi muore.
Dopo aver dato un ultimo saluto alla madre Endre confessa a Piroska la sua relazione di 3 anni e mezzo con Adrienn la quale era scappata in quel villaggio sperduto assieme alla famiglia a causa della guerra negli anni del comunismo (suo padre era un disertore). Tuttavia anche lui non la sente più da anni anche se giura che durante la loro relazione Adrienn non abbia mai accennato all'amicizia con Piroska.

Endre si accinge a tornare al villaggio ma prima di partire si dimostra sensibile alla storia di Piroska e le consegna un foglietto con su scritto il vecchio numero di cellulare di Adrienn non sapendo però se quel numero sia ancora attivo.
Piroska torna a casa ma le ultime informazioni ricevute l'hanno distrutta emotivamente.
Non ha nemmeno il coraggio di provare a comporre quel numero di telefono.
Nella sua mente si comincia a palesare l'eventualità concreta che il suo rapporto speciale con la piccola Pal possa essere solo frutto della sua immaginazione di bambina e che la realtà sia molto diversa da come la ricorda lei.
Non vale più la pena proseguire nelle ricerche, andare oltre potrebbe voler dire cancellare l'ultimo barlume di felicità alla quale si è aggrappata disperatamente per tutto questo tempo.
Prende il foglietto con quel numero di telefono e lo getta in una valigia contenente i ricordi della sua infanzia.
Si torna al lavoro di tutti i giorni , questa volta la vecchietta morente da rianimare riesce a salvarsi ma resta pur sempre una malata terminale,la sua agonia è stata solo allungata di un altro giorno.

Il fatto che si sia salvata momentaneamente è solo una piccola eccezione che spezza una routine di merda, proprio come il ricordo di Adrienn ha spezzato per un breve periodo la monotonia della vita di Piroska,ma a conti fatti si resta ancorati ad un destino a senso unico, ad una vita senza sbocchi che ti toglie tutto, una vita in cui la memoria è l'unico appiglio possibile anche se differisce dal reale andamento dei fatti... l'illusione e la rassegnazione sono tutto quello che ci resta.


Il film si conclude con lo sguardo vitreo e assente di Piroska che contempla i monitor con gli elettrocardiogrammi dei vari pazienti e il loro incessante rumore , un rumore che rappresenta sì la vita che pulsa ma è al contempo fastidio assordante di una condizione che persiste contro qualsivoglia volontà di cessare...l'unico barlume di sollievo rimasto è contemplare quei monitor in attesa che il rumore cessi per sempre.



1*- il marito di Piroska vende sperma alle multinazionali che si occupano di fecondazione ed è interessante proprio questo parallelo tra lui che in qualche modo è complice nella creazione della vita e lei che invece assiste la morte. E' un dettaglio che rende ancora più evidente la diversità abissale fra i 2 e la loro conseguente incomunicabilità. Tuttavia si può anche sostenere che la presenza del marito sia una sorta di piccola (minuscola) scintilla di positività -vitalità all'interno della vita di Piroska, scintilla che al momento della separazione sparisce del tutto lasciandola sola con lo spettro della morte con la quale ha sempre dovuto convivere in solitudine.






18 maggio 2016

RENGETEG



L'esordio di Fliegauf è di quelli col botto, il regista ungherese dimostra da subito il suo amore per il cinema sfornando un opera anticommerciale al massimo, rivolta solo a coloro che hanno il coraggio di guardare il male di vivere da vicino, quel malessere ,quel senso di inquietudine che non ha bisogno di gesti eclatanti per manifestarsi perchè si cela dietro ogni piccolo gesto quotidiano : se nel successivo DEALER i dialoghi scarseggiano per privilegiare i lunghissimi piani sequenza e la potenza annichilente delle immagini ,forest è tutto l'opposto, pochissime inquadrature tutte fisse sul volto dei personaggi e fiumi di dialoghi che fanno letteralmente accaponare la pelle.

Rengeteg è l'insieme di 7 storie che parlano di orrore quotidiano , si comincia con un uomo che lascia il suo cane ad una sconosciuta perchè ha intenzione di andarsi a suicidare dandosi fuoco con la benzina sulla riva del danubio,si prosegue con 2 ragazzi che osservano un qualcosa/qualcuno che non ci sara' permesso vedere facendo commenti a dir poco raggelanti su di essa/o ( questa secondo me è stata la sequenza + agghiacciante di tutto il film...impossibile spiegare le emozioni che suscita, vedere x credere!), un padre che confessa alla moglie la sua attrazione per la figlioletta di 10 anni, un pescatore che narra ad una turista la morte di un amico, 2 coniugi che litigano selvaggiamente perchè lui sta portando materiale pornografico ad un amico defunto,una donna che rievoca le torture subite durante l'infanzia dalla nonna sadica e per finire 2 ragazze che vanno nel bosco a cercare un amico pazzo scomparso da 5 anni dopo aver gettato tutti i suoi risparmi in un tritacarte.

Il fattore piu' geniale di quest opera sta nel non mostrarci nulla di quanto viene raccontato : è lo spettatore che col suo subconscio formula pensieri ed elabora palconscenici sconvolgenti dentro di se, fliegauf riesce semplicemente con una manciata di dialoghi a tirar fuori tutto l'orrore e il male di vivere che è sommerso dentro di noi e vi assicuro che è impossibile non rimanere profondamente scossi a fine visione.
La foresta del titolo è un limbo, un punto di ritrovo dove tutti sono costretti a passare ( nel film è simboleggiata da una stazione ), a sfiorarsi,ma nonostante tutto non cè condivisione di dolore, sono tutti soli, intenti a camminare per la loro strada in un mare di incomunicabilita', un giorno scompariranno nella nebbia, come la citta'...come tutto il resto.