22 maggio 2016

ANOTHER SKY




Scrivere di Another Sky ( Drugoe Nebo - Russia 2010) è sicuramente complicato.
Perlomeno non se ne può parlare in modo convenzionale, partendo ad esempio dalla trama e raccontando quello che man mano accade perchè a conti fatti succede pochissimo e comunque non è certo l'aspetto narrativo ciò che rende l'esordio di Mamulia un film meraviglioso da recuperare a tutti i costi.

In another sky non ci sono punti di riferimento: anche se gran parte del film è con ogni probabilità girata a Mosca, il nome della città non viene mai menzionato.
Anche i personaggi che incontreremo non hanno un nome, gli unici due ad averlo sono il protagonista Ali e sua moglie Laili, due scelte che mostrano il clima di solitudine e spersonalizzazione che permea la pellicola per tutta la sua durata.
Non sappiamo nemmeno che lavoro faccia Ali nè tantomeno da quale luogo provenga;lo vediamo ad inizio film assieme al suo figlioletto circondati da un gregge di pecore mentre caricano sul camion carcasse di pecore morte nel bel mezzo del deserto percui si potrebbe dire che sia un pastore ma non abbiamo elementi che ce lo possano confermare, così come non sapremo mai perchè sua moglie lo abbia abbandonato molti anni prima.
Mamulia non racconta niente allo spettatore, passato e futuro dei personaggi non sono rilevanti, esiste solo un presente eterno che persiste in un lungo agonizzante viaggio per inerzia : la vita.


'' Si parte per cercare una cosa e si finisce col trovarne un'altra che non si stava cercando'' dice Mamulia in un intervista , ed è proprio con una ricerca che si apre il film : Ali di punto in bianco decide di abbandonare il deserto per recarsi in città assieme al figlioletto a cercare la donna che li ha abbandonati molti anni prima ,senza un lavoro, senza conoscere il russo, senza meta, senza indizi...l'unico piccolo barlume di speranza è racchiuso in una piccola foto sgualcita in bianco e nero di quando la moglie era giovane, l'ultima cosa che di lei gli è rimasta . Il tempo, la solitudine e l'abitudine forse hanno cancellato in lui pure il ricordo del suo viso ma ora è tempo di cercarla, se non altro per porsi un obbiettivo, per trovare una ragione che possa dare un senso alla sua esistenza funerea.
Il termine ''funereo'' non è usato a caso : in Another Aky la morte gioca un ruolo fondamentale tanto da poterla definire tranquillamente la vera protagonista del film che, assieme alla città meccanica e disumanizzante formano un binomio micidiale che sotterra letteralmente lo spettatore.

La morte in questo film è ovunque .

E' negli occhi vitrei delle pecore che muoiono agonizzanti nel deserto sbattendo rassegnate le palpebre un ultima volta, nei loro corpi gettati senza alcun rispetto nel dirupo o sulla lamiera di un furgone.

E' nello sguardo dei pazienti dell'ospedale lasciati soli al proprio destino.

E' nei bambini ritardati che dicono cose senza senso in un corridoio della stazione.

E' nell'alienante meccanica routine dei lavoratori in fabbrica.

E' nel cane investito da Ali e lasciato morire per la strada.

E' nel figlio di Ali che muore in un incidente nella segheria.

E' negli occhi di Ali che osserva il corpo senza vita di suo figlio, corpo senza nome che giace inerme su un lettino d'ospedale assieme ad altri corpi senza nome.

E' nelle enormi macchine taglialegna che sradicano, sezionano, distruggono la foresta in un inferno di stridii e rumori meccanici che si ripetono all'infinito.

E' alla televisione ( praticamente gli unici dialoghi che udiamo nel film) che parla di rivolte in Francia, di attacchi dei pirati Somali e di un influenza mortale che sta colpendo alcune zone dell'Europa facendoci chiedere se è il mondo ad essere una proiezione dell'animo di Ali oppure il contrario.

Ma la cosa più raggelante è il ruolo che occupa la morte in tutto questo contesto : non è mai spettacolarizzata ed è accettata con una naturalezza ed una rassegnazione che rasentano l'inumano.
Le suddette pecore non emettono alcun lamento mentre stanno morendo sembra anzi di scorgere un aurea di sollievo nei loro occhi. La morte del figlio di Ali non ci viene mostrata, lo scopriamo tramite una fugace telefonata dinanzi alla quale lo stesso Ali non batte ciglio, come se tutto fosse talmente normale che sarebbe superfluo metterla in mostra.
Perfino quando osserva il cadavere del figlio nella sala mortuaria e ne ritira gli effetti personali il tutto avviene come una normale transazione, i corpi diventano semplicemente ''merce'', un ingombro di spazio.
C'è un tacito assenso a tutto quello che accade, come una gelida consapevolezza che la morte è ineluttabile e inscindibile dalla vita , non fa nemmeno notizia quando si verifica.



Come avrete capito gli sguardi e i volti giocano un ruolo chiave nel film di Mamulia al punto che Mitra Zakhedi ( l'attrice ,credo unica professionista nel film, che interpreta la moglie di Ali) è stata scelta proprio per le emozioni che trasmette il suo sguardo laconico, nonostante appaia soltanto per pochissimi minuti a fine film.
Lo stesso Habib Boufares (Ali) è stato scelto da Mamulia per quella malinconia che trasmette e per quello sguardo rassegnato e al contempo impenetrabile che a tratti diventa quasi frustrante anche per lo spettatore che fatica a comprendere la natura della sua apatia , ma è una scelta che paga perchè in Another Sky il visivo sovrasta la narrazione verbale al punto di sostituirsi ad essa e Ali diventa una sorta di mezzo cinematografico attraverso il quale prendiamo parte a un viaggio che è eterno in quanto non ha possibilità di arrivo .

Ali alla fine trova sì sua moglie ma dopo tutto quello a cui abbiamo assistito fino ad ora diventa un dettaglio quasi insignificante,come se fosse semplicemente una meta autoimposta per darsi uno scopo in una vita che non ne ha uno.

 La vede, si sciaqua la faccia davanti ad uno specchio che sfoca la sua immagine...avrà pure trovato la moglie ma ha perso una parte di se stesso.

Dopo mille sconfitte,perdite e umiliazioni le ultime parole che si odono nel film sono i canti stonati di alcuni fedeli che invocano perdono ad un Dio che non li ascolterà mai .

Ali e sua moglie salgono in macchina nel più totale silenzio e si mettono in viaggio verso un qualcosa che non ci è dato sapere , finisce così, tutto sospeso in una condizione di stasi perenne, un cielo grigio che sovrasta ogni cosa.


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